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Alessandra Racca: Il Poetry Slam è unisex

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Alessandra Racca in coppia con Guido Catalano

Alessandra Racca è stata la prima donna a condurre una delle fasi della finale nazionale della Lega Italiana Poetry Slam che si è tenuta a Monza nel 2014. Intervista a cura di Dimitri Ruggeri e Alessandro Scanu per la rubrica Come nasce uno Slam.

Con il tempo ho imparato a fare meno, a gestire l’ansia del vuoto, togliere invece di aggiungere, “stare”, “essere” in presenza degli altri, fare cose che mi danno piacere, lasciare che lo spettacolo respiri con i suoi pieni e vuoti senza perdere di vista il senso di marcia […] (A.R.)

Sc/Ru. La preminenza dei partecipanti ai Poetry Slam è quasi sempre maschile. C’è una spiegazione secondo te?

Ra. Forse, come sempre, più che una spiegazione ci sono un insieme di ragioni. Quello che a volte ho pensato è che la dimensione “muscolare”, competitiva del poetry slam forse interessa e gratifica le donne meno degli uomini e forse in qualche misura le respinge. È sempre delicato e un po’ sciocco fare discorsi in generale di questo tipo, uomini/donne, tuttavia, che ci siano meno donne a partecipare ai poetry slam rispetto agli uomini, è un dato di fatto. Spesso, con le donne con le quali mi trovo a fare dei ragionamenti su questioni di genere e affini, al di là del dato effettivo della non parità (salari più bassi, meno tempo libero…) emerge la questione dell’insicurezza latente, questo non sentirsi mai abbastanza brave e all’altezza che c’è in molte di noi e che porta a non osare, ad autosabotarsi. Ho pensato a volte che questa insicurezza c’entri con quanto dicevo sopra in merito al poetry slam e alla dimensione della gara. Ovviamente non sto dicendo che le donne sono più insicure in quanto donne, ma che le donne scontano ancora una storia fatta di una visione del mondo maschiocentrica, patriarcale, di possibilità differenti e discriminazioni che si traducono, fra le altre cose, anche quando le possibilità sono apparentemente uguali nel presente, in una percezione di sé svalutante. Oppure, come dicevo prima, per qualche ragione che non ti so dire, per molte donne, la gratificazione data dalla competizione è poca, e dunque il poetry slam interessa meno di altre situazioni. Chissà.

Sc/Ru. Cosa ti ha spinto a partecipare a un Poetry Slam e a fare l’MCe sino ad arrivarne a condurre una gara in una finale nazionale?

Ra. Il caso, poi il provarci gusto, poi l’esperienza. Inizialmente degli amici mi hanno portata a un poetry slam e nemmeno mi è piaciuto tanto, poi però, con il tempo, ho partecipato ancora e mi ci sono appassionata. Così a un certo punto è nato, fra amici, il desiderio di organizzare un poetry slam. Così abbiamo fatto e così mi sono trovata su un palco a condurlo. Dopo l’iniziale spaesamento ci ho preso gusto. E così ho continuato. Mi piace la gestione dei tempi, l’idea di essere un conduttore, che da te dipenda il passaggio di energie fra poeti e pubblico, mi piace lo scambio che questo ruolo permette. Al contempo lo trovo molto faticoso e dopo ogni stagione che organizziamo penso che smetterò. Fino ad ora non l’ho fatto. La conduzione della gara alla finale è venuta da sé, me lo hanno proposto e io sono stata contenta di farlo.

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Sc/Ru. A parità di testo e performance a tuo avviso il pubblico può avere preferenze di sesso sui concorrenti? Le donne sono avvantaggiate o svantaggiate?

Ra. Secondo me il pubblico è abbastanza equanime. Almeno nelle gare che ho visto io.

Sc/Ru. Qualche consiglio a una donna che si accinge a condurre un poetry slam come Mce.

Consigli non so se ne ho in generale e non credo di avere consigli per le donne, secondo me le cose da imparare e sperimentare sono unisex. Posso dire ciò che so, che ho imparato che ognuno ha un suo modo di stare sul palco e di condurre e bisogna scoprire qual è e assecondarsi, cercando di affinarsi in quella direzione. A me è servita l’esperienza di palco che avevo come performer, osservare gli altri (sia le persone con cui ho lavorato, Guido Catalano, Arsenio Bravuomo, Giacomo Sandron, Sergio Garau) che altri come Lello Voce, Luigi Socci, Dome Bulfaro e Claudia D’Angelo, unica donna Mc che ho visto sin’ora (con uno stile tutto suo, molto spostato sul comico-cabarettistico), provare, sbagliare, cambiare strada la volta successiva. Per esempio, all’inizio, soprattutto quando conducevo insieme a Guido Catalano e Arsenio Bravuomo per Poeti in Lizza, abbiamo dovuto tararci, per non sovrapporci.

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Abbiamo capito che Arsenio funzionava bene come notaio e che Guido doveva fare la parte più comica in iterazione con Andrea Gattico, che faceva gli stacchi musicali (in realtà molto di più, essendo un musicista comico bravissimo) e me, mentre io ero quella che doveva tirare dritta, dettare i tempi, condurre lo slam nelle sue varie fasi dall’inizio alla fine. Stessa cosa è capitata con Giacomo Sandron, Sergio Garau e Arsenio Bravuomo per Atti Impuri. Secondo me Sergio è uno più bravo a condurre da solo (e molto ho imparato osservando lui), io e Giacomo abbiamo un ritmo più compatibile; infatti adesso mi pare che siamo arrivati a un bell’affiatamento sul palco appunto con Giacomo. Bisogna fare molta attenzione ai ritmi, essere capaci di percepirli e modificarli, gestire il pubblico giocando con la sua energia, senza farsi fagocitare e senza aggredirlo, avere il senso dello spettacolo, che viene vedendo e facendo. Con il tempo ho imparato a fare meno, a gestire l’ansia del vuoto, togliere invece di aggiungere, “stare”, “essere” in presenza degli altri, fare cose che mi danno piacere, lasciare che lo spettacolo respiri con i suoi pieni e vuoti senza perdere di vista il senso di marcia, stare concentrata: sei tu che porti la serata dal punto iniziale a quello finale. In uno slam può capitare di tutto: partecipanti che non hanno abbastanza pezzi e in finale fanno scena muta (è successo), personalità molto particolari, magari anche persone con problemi, che vanno messe a loro agio, oppure anche tensioni con il pubblico per questioni di voto. È capitato una volta a Milano, al Van-Ghè, una polemica con un giurato che rovinò il clima della serata: in quel caso davvero bisogna essere bravi a riprendere il filo e procedere oltre.

Sc/Ru. Spesso conduci le gare in coppia. Che differenza c’è a condurne una in solitaria?

Ra. Cambia molto. In due dividi la fatica, ma devi costantemente avere a che fare con il ritmo dell’altro, che non è semplice, bisogna rodarsi, capire i ruoli, non sovrapporsi. Ho fatto serate disastrose perché la conduzione mia e dell’altra persona non riuscivano a trovare un equilibrio, però trovato quello è molto bello. Da soli hai maggiore libertà di movimento e di assecondare i tuoi ritmi, ma hai tutto il peso dello spettacolo sulle tue spalle. Sinceramente mi piace alternare. Mi spiace molto non aver avuto esperienze di conduzione con altre donne ad oggi. Mi piacerebbe così come mi piacerebbe sicuramente vedere all’opera Lene Morgestern e Artenca Shehu. In generale, tornando al discorso uomini/donne, non so se in questo campo abbia senso domandarsi se le donne conducano in un modo e gli uomini in un altro, semplicemente ognuno ha il suo stile, donna o uomo che sia, e, se conduci in coppia devi trovare un affiatamento a due, se lo fai da sola devi trovarlo con te stessa, con i tuoi punti di forza e debolezza.

Photo courtesy of A. Racca

Marzo 2016 – Riproduzione riservata

Un commento su “Alessandra Racca: Il Poetry Slam è unisex

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