i cannibali della parola

Slam[Contem]Poetry

Luca Bernardini: poesia catecatodica

Foto Luca Bernardini_SlamContemPoetry

In quest’intervista Dimitri Ruggeri affronta con Luca Bernardini il rapporto tra teatro e poesia, tra improvvisazione teatrale e stand up comedy. Il contributo si aggiunge alla  sezione “interviste” di questo spazio web.

[…] un agire relazionale aperto e delicato come quello a cui si può ambire improvvisando abbia un valore umano dalle notevoli qualità estetiche e che tutto ciò che è artistico sia necessariamente relazionale […] (L.B.)

D.R. Nella tua formazione teatrale e poetica quanta importanza dai al testo? Ha senso oggi parlare di teatro del testo? La tua ricerca rientra in quella del teatro del detto o teatro del dire?

Quando mi vengono fatte domande di questo tipo mi sento molto ignorante, mi rendo conto di quante persone hanno una visione d’insieme chiara e colta mentre io fatico a cogliere molti riferimenti, provo quindi a rispondere a ciò che comprendo e chiedo perdono se ad altre cose non so rispondere.
Nella mia formazione il testo è stato un po’ come uno strumento musicale fatto con cura, l’idea che lo genera ha sempre un nucleo emotivo, qualcosa che quel personaggio sente e che si spera possa arrivare a chi lo ascolta, un timbro unico. Questo strumento ha poi bisogno di un musicista che lo suoni, e lì è tutto ciò che un essere umano è capace di comunicare con paraverbale e non verbale che può farlo vibrare di vitalità, oppure sprecarlo e spegnerne ogni energia.

Collettivi Slambanner3

D.R. L’improvvisazione teatrale è un agire relazionale o una creazione artistica?

L.B. Io credo che un agire relazionale aperto e delicato come quello a cui si può ambire improvvisando abbia un valore umano dalle notevoli qualità estetiche e che tutto ciò che è artistico sia necessariamente relazionale, perché noi siamo fatti per stare in relazione e per apprezzare la connessione.

Tuttuncieloazzurro

Sai, ho pensato che non ne vale la pena, il sollazzo non vale il mozzicone. Rischierei di te imbambolarmi, patire che non mi posso davvero accordare, ho quittato. Oblieremmo il globo e faremmo un muschio di cazzate, con plicemenza.

Una menica meriggio magari farei una battuta e tu crepapelleresti per quasi dieci primi come una fanfolina.

Un verdì mattina drinnerai al mio zerbino scrosciata zuppettosa, mi schioccherai forte e poi scosterai sipario dolce odontoiatria, a palpebre sdraiate, nasino pressato contro il mio e una stilla di acquedueho mi scivolerà giù verso la linea sorriso.

Un Gennagosto magari saremo recipramente sul poltrone, sotto più stratipiuma, affebriciati e morbettosi oltre 40 tèrmo mètri, adocchiosi, mirando un bang bang giapponese al catecatodico.

Passeremmo dei momenti così tuttuncieloazzurro, che a ripensar a quei bei-tempi-bei-tempi-bei mi terzograderò, ma serio ha avuto luogo? Geluso di me stesso quando ero sotto la tendina dei tuoi sottilli seta, nello straguascio intimitino dei visi e del respiro.

Un Giugnembre magari tornerei a casa dopo aver fatto trombete altrove e tu lo carpiresti ratto e mi scoltelleresti oltruscio, o magari tu faresti trombete ed io non lo affarferei, ma tu me lo sputeresti chiaro e mi arringheresti reo, che non ti accoccolo a dovere.

Rischierei di lasciarmi scaccomattare il tu-tum-tu-tum dalle tue asserpaggini, o da quelle che non riuscirei a farti a meno io.

Non voglio passare le ore ad aspettare di spupillarti, il tuo lasciarmi empto quasi più sciropposo dell’infinaverti.

E tutte quelle tinghe che inizialmente ci daremo così spontente, dolcente, lunlaltramente, finiremo per chiercele e poi per prendenderle, e niente sarà più spontaneo, dolcio o lunlaltro.

Mi fa già ribollio! Il momento in cui sulla bilanca i nostri desii non peseranno uguale, ed è insobbarcabile la pugna meticolosa dei pesini, per rewindare tutto a posto. Convincersi che può tornare come ante, ma come si?!

Non sopporterei di dover formattare il tuo corpo a puzzle-puzzle, la tua buccia lisca, il tuo aroma, il gustalizio della tua labbrosità.

So già che il tuo formato è collinato e avvalloso, rigogliato e aggrazioso, tutto nei loci adequi, senz’avertiscartataffatto,

so già che il tuo doreggiare è un parfumo, che non saprei disappressarmene dopo averti inspirata troppetto,

so già che mi ci labirinterei nella tua bocca, scannucceresti via le mie certezze in un sol succhio, e senza loro, io non vivo…

E quinci scusami se ti chiedo questa: di non amarmi, di non appressitarti, di non digitarmi, di non understenderti sotto di me amplessosamente. Se mi ami, non darmi nessun d’inizio bacio.

Io farò lo stesso, perché ti amo.

(Luca Bernardini)

D.R. Ha senso oggi ancora parlare di linguaggi espressivi? L’aver suddiviso e clusterizzato linguaggi e generi è un atto coercitivo contro l’essere umano? Possiamo liberarcene o ci sono altre soluzioni?

L.B. Io credo che il linguaggio tenti invano di dividere e definire, addirittura se stesso, lo si può continuare a fare all’infinito e in molti lo fanno e ne traggono giovamento, può essere rassicurante. Io trovo più interessante parlare con gli altri delle loro esperienze emotive soggettive piuttosto che delle categorie in cui possiamo oggettivamente dividere le cose, le prime sono verità soggettive che mi incuriosiscono, le seconde spesso mi sembrano supercazzole fini a se stesse.

Facebook_banner

D.R. Tra la pratica dell’improvvisazione teatrale, del teatro, del poetry slam, della poesia e degli spettacoli di stand up comedy riesci a dare un ordine di gradimento ? Aver sviluppato accademicamente studi in psicologia può ad esempio rendere più agevole stilare questa “classifica” ?

L.B. Non mi piacciono le classifiche, mi sento fortunato a poter sperimentare tutte queste cose e al momento trovo molto interessante l’improvvisazione teatrale per il modo in cui mi regala dei viaggi unici che neanche io conosco finché non finisce lo spettacolo.

D.R. È davvero importante il pubblico? L’artista si deve necessariamente porre il “problema” del pubblico? Deve la produzione artistica essere “sensata” o necessariamente portatrice di messaggi?

Videopoetry awardL.B. Il pubblico è fondamentale credo, avere qualcuno a cui regalare qualcosa, possibilmente ricco di senso cercando di non fare la morale.

D.R. Parlaci dei tuoi laboratori. Quanto tu dai ai tuoi allievi e quanto i tuoi allievi danno a te.

L.B. Adoro insegnare, mi sento fortunatissimo a poterlo fare, cerco di dare tutto quello che ho avuto la fortuna di ricevere e imparare dai maestri umili e saggi che ho incontrato e mi torna indietro moltissimo affetto e gratitudine, sono orgoglioso dei miei allievi e soddisfatto del viaggio fatto insieme.

D.R. L’arte e i possibili movimenti artistici nascenti sono riconducibili a”fatti” individualistici o collettivi?

Siamo sempre connessi a tutto il resto, l’interdipendenza credo sia una verità profonda, anche se nella nostra cultura riusciamo bene ad illuderci del contrario.

D.R. La tua opera artistica n.1 che proporresti in un tour in tutto il mondo.

L.B. Mi piacerebbe portare “Non credevo che la vita fosse così facile”, il mio primo spettacolo teatrale fatto di monologhi, alcuni dei quali quest’anno mi hanno inaspettatamente portato a diventare campione nazionale di Poetry Slam.
A seguire mi piacerebbe portare “3MENO1”, lo spettacolo improvvisato più bello a cui abbia avuto l’onore di partecipare, ma il mio collega improvvisatore Andrea Mitri parla un pessimo inglese.

D.R. Parla dei tuoi prossimi progetti.

L.B. Con due amici musicisti vorrei lavorare a uno spettacolo di poesie improvvisate accompagnate da musica improvvisata, potrebbe chiamarsi “Poetry Jam”.
Per quanto riguarda l’insegnamento mi piacerebbe portare avanti i workshop e i seminari di improvvisazione teatrale per psicologi e psicoterapeuti, credo siano un terreno meraviglioso e fertile di crescita e comprensione della complessità dello stare in relazione

Info sull’autore: www.lucabernardini.jimdo.com

RIPRODUZIONE RISERVATA – Ottobre 2018

 

Un commento su “Luca Bernardini: poesia catecatodica

  1. Pingback: Max Di Mario: Il Caos del poetry slam | i cannibali della parola

Lascia un commento