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Slam[Contem]Poetry

Giovanni Fontana: #poesiaoltretutto

Dimitri Ruggeri dialoga con Giovanni Fontana, poeta, performer e uno dei maggiori esponenti della poesia sonora italiana e internazionale.

INTERVISTA

Sei un artista o un poeta?

Mi sono sempre definito un poliartista. Quando si agisce in ambito performativo, specialmente se legato a ricerche di carattere intermediale, si ha a che fare con una poesia espansa che entra in rapporto con differenti universi tecnici e linguistici. Ecco, allora, che il poeta è un poliartista, perché si muove tra scritture e immagini, tra suoni e voci, in azione nello spazio. Il corpo si pone al centro di una molteplicità di elementi per organizzarli con le tecniche più diverse. La poesia è fuori dalla pagina! Del resto poiein significa fare. Ed io faccio, coniugando invenzione e produzione in uno spazio polidimensionale.

Facciamo innanzitutto chiarezza sul termine “performance”. Se ne fa uso e abuso, oggi. Chi è il performer?

Affrontare la questione in poche battute non è molto agevole, se non altro per il fatto che la performance coinvolge numerosi caratteri tipologici e impegna diversi ambiti espressivi. Si può comunque affermare che il denominatore comune è sempre costituito dall’attraversamento dei linguaggi. Si svela in questo elemento la vocazione nomade della performance, che sposta l’attenzione da uno spazio creativo ad un altro, facendo sempre riferimento al corpo in azione. Ho scritto più di qualche saggio sull’argomento, evidenziandone il carattere intermediale (secondo l’accezione di Dick Higgins), con la convinzione della necessità di allargare e snervare i confini della poesia: attività creativa confinata suo malgrado sulla superficie ridotta della pagina, costretta a rinunciare a quell’immenso patrimonio energetico che il corpo può sprigionare nello spazio-tempo. Si tratta di coniugare la forza della scrittura a quella della vocalità secondo prospettive strutturali fondate sull’interattività di tutti quegli elementi che possano garantire un ulteriore apporto di senso: dall’uso delle tecnologie elettroniche al rapporto con il contesto geometrico-architettonico e socio-culturale. Ma il corpo dovrà sempre essere il baricentro delle forze. Per dirla con Paul Zumthor, avremo a che fare, allora, con una «poesia dilatata».

Quali sono i paradigmi che un poeta dovrebbe seguire per approcciarsi alla poesia sonora?

A prescindere da tutti i possibili sviluppi fonetici e/o bruitisti (che costituiscono spesso il carattere preminente delle composizioni di alcuni autori), prima di tutto occorre avere un nuovo rapporto col testo. Durante le fasi della scrittura bisogna già tener conto dei possibili sviluppi nell’ambiente sonoro. Il testo conterrà i germi delle successive evoluzioni metamorfiche. Si tratterà di far leva sulla materialità del linguaggio, sia per quanto riguarda le strutture ritmiche, sia per quanto riguarda le valenze audio-dinamiche. Poi, ovviamente, bisognerà lavorare molto sulla voce. Bisognerà valorizzarne il senso. La voce è di per sé un generatore di significanza. Agirà sul testo riplasmandolo. Sarà perciò molto importante apprezzarne le qualità “poietiche”, facendo fondamento sulla sua energia vitale. Non bisogna mai dimenticare che la voce ha carattere strutturante. In quest’ottica dovremmo considerare il testo come una partitura, come un progetto di poesia da scrivere nello spazio tempo. Se quella sulla pagina è un’operazione di scrittura, quella nello spazio-tempo costituisce una ri-scrittura radicale.   

Qual è il genotipo e il fenotipo della performance della poesia sonora? Esiste poesia sonora senza performance?

In termini molto semplici possiamo dire che il genotipo è il pre-testo (il testo scritto sulla pagina) e il fenotipo è l’azione (il testo ri-scritto nello spazio-tempo: la performance). 

Poesia sonora senza performance? In realtà alcuni poeti sonori hanno lavorato soltanto sulle registrazioni, senza mai calcare una scena, ma anche in questo caso c’è da considerare un passaggio performativo, se non altro perché, comunque sia, la voce è presenza del corpo ed è sempre il corpo che in-forma, con-forma, configura il poema sonoro, sia pure su un semplice supporto magnetico. Ma il prodotto finale rientrerebbe in una dimensione acusmatica. 

Tu presti molta attenzione all’aspetto testuale. Dove nasce il pre-testo? Che ruolo ha nella performance? Esiste anche un sottotesto e un sovratesto? Quante dimensioni ha la performace?

Come dicevo poc’anzi, il pre-testo è il fondamento su cui costruire la performance. Bernard Heidsieck, uno dei maestri della poesia sonora in Francia, assegnava al testo il ruolo di tramplin: trampolino da cui spiccare il salto performativo. Un volo che necessariamente avrebbe calato il poema in uno spazio polidimensionale. In effetti la performance è un organismo vivente che si muove su più dimensioni. Oltre al fatto che la sua caratteristica intrinseca è quella di mettere “in situazione” elementi differenti, che necessariamente si portano dietro gli echi dei loro contesti originari, non dobbiamo dimenticare che la performance reca con sé le dimensioni della memoria, dell’hic et nunc e della dinamica proiettiva. Tutte dimensioni complesse che inglobano caratteri polimorfi.

Qual è la performance che a tuo avviso rappresenta per te, non un punto d’arrivo, ma comunque un aspetto che ti caratterizza come artista?

Ogni performance costituisce un ritaglio della mia vita poetica. Ogni performance è un momento di vita piena. Non si tratta di messa in scena, ma di un momento che condensa in sé alcuni valori dell’essere, dell’esistere in quel determinato momento, a cavallo della memoria e della graduale costruzione di un futuro, che si muove dal mio respiro, dalle mie pulsazioni, dalle mie tensioni. In questo senso ogni performance mi appartiene fino in fondo e pertanto caratterizza un momento specifico della mia vita di uomo e di artista. Dal punto di vista linguistico, invece, potrei citarti alcune performance che hanno caratterizzato particolari traguardi sul piano tecnico, come il Poema Larsen (Centre Pompidou, Parigi 1988), dove ho costruito un’intera performance su una sola parola, o Living poem, dove ho pronunciato un differente poema sonoro nell’orecchio di ogni spettatore, uno per uno (AnnArt, International Living Art Festival, St. Ann Lake, Romania, 1997): esempio di performance personalizzata che talvolta ho ripetuto su parte dell’audience.

Il rapporto tra suono, testo e immagini.

Del rapporto tra testo e voce abbiamo detto. Ma ovviamente nella performance possono intervenire suoni non vocali: suoni del corpo (denti, labbra, palato, piedi, mani, ecc.), suoni elettronici e strumentali, rumori d’ambiente appositamente cercati o casuali. Anche per l’immagine il panorama è molto articolato. C’è l’immagine del corpo in movimento, ma ci sono luci ed ombre che organizzano il quadro cromatico, possono esserci proiezioni, interazioni con telecamere e videografie, c’è l’immagine geometrica dell’ambiente prescelto, con tutti i suoi valori scenografici e spaziali. Come vedi anche la gamma delle immagini è piuttosto ampia. Ovviamente, anche qui, è fondamentale il rapporto con il testo e la ricerca generale del senso.

Cosa pensi del poetry slam? E’ un genere, un format, un medium o cosa?

Apprezzo il poetry slam perché ha riavvicinato la poesia ai valori voco-orali. In quanto “forma breve” è un genere; per quelle che sono le sue caratteristiche tecniche e regolamentari è anche un format; per il particolare rapporto che crea con il pubblico è un medium da non sottovalutare per le valenze socio-culturali. In ogni modo, non l’ho mai praticato. Non trova il mio interesse (se non da spettatore), perché per il mio lavoro ho bisogno di tempi e spazi piuttosto ampi e articolati. Soprattutto legati ad una dimensione non competitiva.

A quali suoni un poeta – detective deve prestare attenzione per approfondimenti, analisi, rivisitazioni etc.? Il mondo ne è bombardato e molte volte riportano al consumo secondo anche subdoli approcci psicologici.

Io amo tenere in considerazione la fonosfera nella sua integrità.

Riuscirà l’intelligenza artificiale a creare, attraverso algoritmi, suoni, testi e immagini a consumo? La tecnologia che tanto ha dato, può in realtà distruggere tutto ciò che ha determinato sostituendo l’artista stesso?

La tecnologia ci ha riservato grandi sorprese. E ce ne riserverà ancora, in positivo e in negativo. Potrà anche arrivare a sostituire l’artista? Sarebbe veramente aberrante. L’arte fa parte del DNA dell’essere umano. Ma non escludo che si possa arrivare a forme di automatismo estremo, che in ogni modo dovranno pure avere un deus ex machina! In questo caso l’artista sarà lui. 

RIPRODUZIONE RISERVATA – Gennaio 2021

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