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Unrest in Peace – In memoria di Sean Bonney

Necrologio di Sean Bonney_SlamContemPoetry

Sean Bonney, Charlie Chaplin, un manganello e una rock head in Grecia

di Alessandro Scanu – Poche notti fa nelle strade di Berlino è tragicamente morto il poeta Sean Bonney. Avendo avuto il privilegio di rincorrerlo – fuori di metafora – tra i corridoi universitari, ho pensato fosse doveroso da parte mia buttare giù qualche riga di testo per ricordarlo, visto che al momento in cui scrivo nessuno ha ancora dato la notizia ai lettori di lingua italiana, e magari anche per offrire un suggerimento di lettura a chi non conosce il suo lavoro. 

Non ho utilizzato l’avverbio tragicamente solo per riferirmi al lutto e al dolore per la sua perdita. Trattandosi della morte di un poeta, volevo evocare piuttosto la dimensione politica della tragedia (1), il conflitto tra libertà e società, tra personale e politico che finisce inesorabilmente per maciullare l’eroe tragico in quella complessa macchinazione senza via di uscita che costituisce il rito delle relazioni sociali umane. Un anarchico come Sean Bonney questo lo sapeva bene. La sua figura aveva sicuramente qualcosa di tragico, come conferma anche l’esilio che si era imposto dalla sua isola, il Regno Unito, disprezzata per il suo razzismo e il losco individualismo post-tatcheriano, che non solo aveva fatto a pezzi ciò che rimaneva dello stato sociale del dopoguerra, ma aveva anche giustificato lo smantellamento di quest’ultimo dando la colpa agli strati sociali più poveri. Tuttavia la poesia di Sean si fa carico del conflitto tragico annullando radicalmente la distanza tra libertà – e proprietà – privata e necessità politica, incarnando quanto di più lontano esiste dalla rassegnazione di fronte a una realtà percepita come necessaria:

while people are starving, wealth                                          

is a crime. I am not willing to argue.

if you are hungry, no laws apply.

glass breaks easily. Weapons

can be made from anything.

crime should not go unpunished.

The meaning of royalty

it too can be killed (2)

finché la gente muore di fame, la ricchezza

è un crimine. non intendo discuterne.

se sei affamato, nessuna legge vale.

il vetro si frantuma facilmente. Le armi

si possono fare con qualsiasi cosa. 

i crimini non dovrebbero passare impuniti.

il significato del privilegio 

anche quello può essere ucciso (3)

Per lui l’accumulo e il riverbero dei mali sociali attraverso il canale del proprio corpo era un fatto inevitabile, che poi aveva deciso di incorporare nella sua poetica come arma, secondo l’esempio del Lou Reed di Metal Machine Music e degli ultimi album di John Coltrane, così come con la lettura di Pasolini e Katerina Gogou (di cui Sean stava preparando una traduzione inglese). Nella sua poesia il tragico non assume mai un tono drammatico o altisonante, ma anzi spietatamente cinico e ferocemente ironico, a riconferma del fatto che tragico non indica necessariamente una tonalità del linguaggio. Sean era allo stesso modo lontano anche da una delle più fortunate e stereotipate versioni moderne dell’eroe tragico, quella del poeta maledetto – formula assolutoria che considerava packaging contemporaneo della peggior specie. Stiamo parlando di un poeta che considerava indispensabile la lettura del Capitale per poter comprendere Una stagione all’inferno di Rimbaud. No, Sean Bonney è stato soprattutto un poeta determinato. Questo termine è ambiguo, me ne rendo conto, e per chiarire cosa intendo non c’è nulla di meglio delle parole di Sean: “è semplice, la posizione sociale determina il contenuto, il contenuto sconvolge la forma etc.” (4)

Necrologio di Sean Bonney2

“Paul Gilroy ha descritto la ferita sulla fronte di Baraka – procurata da uno sbirro del New Jersey – come un ‘segno di integrità intellettuale’. Qualcosa su cui riflettere.”(5)

“Paul Gilroy ha descritto la ferita sulla fronte di Baraka – procurata da uno sbirro del New Jersey – come un ‘segno di integrità intellettuale’. Qualcosa su cui riflettere.” 

Ho conosciuto Sean per la prima volta durante un seminario che teneva sul poeta afroamericano Amiri Baraka. Ed è stato soprattutto attraverso la lettura e l’ascolto di Baraka che Sean aveva compreso come il contesto cambia la natura delle poesie e, soprattutto, il loro effetto. Leggere Baraka in un’epoca di pace sociale (ma è mai esistita un’epoca di pace sociale?) o di basso conflitto sociale, ricordava Sean, poteva avere al massimo una pretesa di curiosità storica; farlo camminando tra le barricate di una Londra incendiata dai riots esplosi a seguito dell’esecuzione di Mark Duggan da parte della polizia significava giungere a una rara sintesi tra linguaggio poetico e linguaggio del conflitto sociale. La dissonanza tra questi due alfabeti è uno dei punti critici di tutta la poetica di Sean Bonney, e riappare più volte ad esempio nel lungo poema Happiness:   

mayday, the alphabet was a system of blackmail

complacent, would skate on our regulated senses (6).

 

mayday (7),  l’alfabeto era un sistema di ricatto

compiaciuto, scivolerebbe sui nostri sensi normalizzati

Tuttavia la sintesi di cui scrivevo sopra non viene celebrata trionfalmente nei suoi testi, anzi porta immediatamente con sé la propria autocritica. Nella sua Letter on Poetics, uno dei manifesti poetici più lucidi e allucinati che abbia mai letto, troviamo scritto:

In the enemy language it is necessary to lie. & seeing as language is probably the chief of the social senses, we have to derange that. But how do we get to that without turning into lame-assed conceptualists trying to get jiggy with their students (8).

Nel linguaggio nemico mentire è necessario. & visto che il linguaggio è probabilmente il principale tra i sensi sociali, dobbiamo sconvolgerlo. Ma come ci arriviamo senza diventare dei concettualisti cazzoni che provano a portarsi a letto i loro studenti .

Gli scritti di Sean sono polifonici, l’io che prende la parola è sempre una collettività resistente, che si oppone al discorso del potere (e dei suoi poeti…) e ne sconvolge il linguaggio, proprio come nella sua rilettura di Rimbaud, un altro dei poeti con cui era in conversazione costante.

The ‘systematic derangement of the senses’ is the social senses, ok, and the ‘I’ becomes an ‘other’ as in the transformation of the individual into the collective when it all kicks off (9).

Lo “sconvolgimento sistematico dei sensi” sono i sensi sociali, okay, e “l’io è un altro” come a dire la trasformazione dell’individuo nella collettività quando la situazione comincia a scaldarsi.

Le sue figure retoriche producono suoni simili a quelli dei ragazzi e delle ragazze in piedi sui cofani delle macchine e a quelli delle vetrine che si frantumano nelle vie dello shopping. È difficile parlare di Sean Bonney senza correre il rischio di fornirvi il ritratto di un anarchico rivoluzionario che somigli in maniera pericolosa a quei poster appesi nelle stanze delle matricole di scienze politiche nei peggiori film italiani sugli anni ’70. Sean era una persona complessa e incredibilmente riservata, eppure possedeva un’ironia spiazzante che lo rendeva capace di farti sentire a tuo agio con lui. In un’intervista, il poeta Lello Voce disse, riprendendo un’osservazione di Franco Bifo Berardi, che “siamo fragili, si, ma non deboli” (10), un’osservazione che in qualche modo trovo calzante per Sean. 

Sean Bonney_Our Death

I testi di Sean Bonney non sono ancora disponibili in italiano (11), anche se spero che presto qualcuno si faccia finalmente carico di una traduzione italiana delle sue poesie. Ad ogni modo, poco meno di due mesi fa Commune Editions ha pubblicato Our Death, l’ultimo libro di Sean che, non servirebbe dirlo, vi consiglio di leggere. O di ascoltare su Soundcloud, che ospita molte registrazioni di Sean, perché dall’urgenza contenuta nel suo modo di prendere aria e dal tono della sua voce passa un’agitazione fisica, corporea che aggiunge un senso di inquietudine e di ironia combattiva alle parole che non si registra sulla carta. Ascoltarlo leggere è un privilegio che ho avuto più volte durante il corso dei due anni passati, ed è quasi sicuramente l’unico privilegio che perfino Sean approverebbe.  

Meanings excoriate the enemy language.

(Sean Bonney, 1969-2019)

 

Sean Bonney su Soundcloud

 


(1) Il termine indica in origine il ‘canto’ del capro espiatorio prima di essere sacrificato: “tragèdia (poet. ant. tragedìa) s. f. [dal lat. tragoedia, e questo dal gr. τραγῳδία, comp. di τράγος «capro» e ᾠδή «canto»]”, Vocabolario Treccani Online, URL: http://www.treccani.it/vocabolario/tragedia/, ultimo accesso del 2 dicembre 2019.

(2) Bonney, Sean, “Confession 2”, abandonedbuildings, 20 ottobre 2019, URL: http://abandonedbuildings.blogspot.com/2019/10/confession-2.html, ultimo accesso del 2 dicembre 2019.

(3) Tutte le traduzioni sono di Alessandro Scanu laddove non specificato.

(4)  “It’s simple, social being determines content, content deranges form etc.”, Bonney, Sean, “Letter on Poetics”, abandonedbuildings, 25 giugno 2011, URL: http://abandonedbuildings.blogspot.com/2011/06/letter-on-poetics.html, ultimo accesso 2 dicembre 2019.

(5)  “Paul Gilroy described the scar on Baraka’s head – administered by a New Jersey cop – as a “sign of intellectual integrity’. Something to think about.” (Sean Bonney, conversazione privata).

(6) Bonney, Sean, “Happiness”, in Letters Against the Firmament, Enitharmon, 2015, p.121.

(7)  Mi sembrava impossibile rendere allo stesso tempo il riferimento alla festa dei lavoratori e a un messaggio di SOS in italiano, per cui ho optato per tenere la parola originale.

(8) Bonney, Sean, “Letter on Poetics”, in Letters Against the Firmament, Enitharmon, 2015, p.141.

(9)  Ibid., p.142.

(10) “Periferie arrugginite”, La casa del rap, 20 Maggio 2015, URL: https://www.lacasadelrap.com/interviste/2015/05/20/periferie-arrugginite-intervista-a-lello-voce/, ultimo accesso del 2 dicembre 2019.

(11)  Esiste in realtà una piccola selezione di testi tradotti nel 2017 da Federico Federici sulla rivista di poesia Ulisse, che possono essere letti a questo indirizzo: https://www.lietocolle.com/2017/07/sean-bonney-tradotto-da-federico-federici/

 

Un commento su “Unrest in Peace – In memoria di Sean Bonney

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