i cannibali della parola

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Nicolas Cunial: pianeti al posto degli occhi

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Cunial in Black in / Black out

 

Dimitri Ruggeri dialoga con Nicolas Cunial sul suo spettacolo di poesia e musica Black in / Black out . Il lavoro che ne è venuto fuori è senz’altro completo perché esplora anche il campo della videopoesia. A conferma di ciò il due Maggio 2019 uscirà per l’editore Interno Poesia il libro dove si troveranno i testi dello spettacolo ma non solo. Il libro intanto si può pre-ordinare qui.

Come nasce questo progetto di musica e poesia?

Il primo testo di questa serie, Planetario, fu scritto e poi pubblicato con altro titolo e un testo leggermente diverso su Poetarum Silva alla fine del 2016. Poi fu la volta di In discotesta, che subito ricevette ottime critiche e con essa arrivai in finale alla prima edizione del Poverarte nella sezione di videopoesia. Fu poi la volta della Marcia dell’insonne, che dedicai a uno dei miei più grandi maestri-amici, Dome Bulfaro, in quanto proprio lui m’ispirò l’impostazione narrativa e metrica per la poesia. Nel giro di un anno, senza alcuno scopo organico di scrivere su questi temi, mi ritrovai in mano un magma estremamente potente e omogeneo. Capii dunque che potevo mettere a disposizione questi testi per qualcosa di più che una vittoria a un concorso o a un poetry slam. Così, grazie ad alcune tra le più talentuose persone che io conosca, e con cui ho l’onore di collaborare, ovvero i componenti di Novæquipe (Sander Marra, Arby Marra, Cristian Mindrila e Viola Pistone), abbiamo studiato le potenzialità multi e intermediali di questo progetto che si è materializzato col titolo di Black in / Black out. Non solo un progetto di poesia e musica, ma anche di videopoesia nonché un vero e proprio libro che vedrà la luce in primavera.

Raccontaci qualche aneddoto che ti ha particolarmente segnato in questo percorso.

Dicevo prima che non avevo alcuno scopo organico a scrivere di queste tematiche. Mi spiego: non scrivevo di ciò perché m’interessava ma perché stavo affrontando un periodo personale molto difficile e in qualche modo la scrittura si era fatta autoterapia. Durante questa crisi, mi venne naturale come non mai scrivere di temi legati al mio vivere quotidiano d’allora, dove per una serie di motivi frequentavo psichiatri, psicologi e psicanalisti.

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E, come se non bastasse, mi misi a studiare su alcuni testi universitari per comprendere al meglio il lato del mondo in cui ero costretto, a causa dei miei problemi, a vivere. L’aneddoto fondamentale è senz’altro questo: stavo parlando con i miei più cari amici del mio stato di salute mentale, che era giunto al suo più basso livello possibile, tanto che stavo avendo un principio di bipolarismo come mi venne poi diagnosticato. Successivamente alla mia confessione, anziché ricevere conforto fraterno, ottenni un freddo distacco e un trattamento superficiale se non addirittura severo da parte dei miei amici. Non incolpai però loro, come forse avrei dovuto, ma fu lì che compresi che il materiale che avevo fino ad allora scritto potevo usarlo per sensibilizzare in parte l’opinione pubblica su questi temi e su come trattarli quando persone a noi care hanno la sfortuna di viverli.

L’esperienza nell’organizzazione di open mic e poetry slam si può dire che ti è ritornata utile per maturare questo nuovo lavoro? 

Non tanto l’organizzazione in sé quanto la partecipazione agli stessi – che mi ha permesso un confronto con pubblico e altri addetti ai lavori prima della messa in scena dello spettacolo – e il far parte di un tessuto connettivo quale la LIPS – Lega Italiana Poetry Slam. Questo perché grazie agli slam ho girato molto l’Italia e sono quindi entrato in contatto con molte realtà che, avendo apprezzato singolarmente le mie poesie proprio grazie agli slam, hanno avuto piacere nell’organizzare una data del tour di “Black in / Black out”. Senza di loro non sarei andato da nessuna parte, e colgo anche qui l’occasione per ringraziarli ancora una volta.

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Come hai “legato” parole e musica?

In modo indissolubile, direi. Ad eccezione di nota clinica, che doveva rappresentare l’introduzione al tutto, per gli altri tre pezzi abbiamo fatto un’operazione chirurgica di costruzione del suono più adatto all’elemento rappresentato. In sintesi: abbiamo sezionato il testo concentrandoci quasi unicamente sugli aspetti informali, ossia il contenuto. Ogni elemento fondamentale della poesia doveva per noi materializzarsi nel suono più congruo, infatti nel pezzo in discotesta ad ogni “e c’è” corrisponde un elemento scenico o di contenuto e così lo stesso per la musica: viene introdotto un nuovo suono ad ogni ripresa che si lega perfettamente all’elemento citato.

Dicevo che però ci siamo concentrati quasi unicamente sugli aspetti informali, giacché quelli formali (il ritmo) erano codificati già nel testo e pertanto la musica doveva operare, giustamente, con lo stesso codice, ma non significa che non ci siamo dati alla creatività: in controcaccia, per esempio, il testo è scritto quasi interamente in doppi senari; nella musica il kick è in quattro quarti mentre il basso in terzine, come vuole gran parte della psytrance, genere a cui il pezzo s’ispira, e con la voce abbiamo convenuto che, giacché le voci sarebbero due – ego e ansia –, sarebbe stato giusto utilizzare il ritmo della terzina per l’ego, mentre quella del kick per l’ansia, ottenendo così due cadenze accentuative diverse, una più apparentemente lenta e l’altra sostenuta, ma complementari.

Collettivi Slambanner3Ci parli della poesia che a tuo avviso è più “rappresentativa” ?

Qui mi metti in difficoltà. Non lo so, dipende. Sento molto mie sia in discotesta che marcia dell’insonne perché mi riguardano da vicino, ma a livello di ricerca testuale e ritmica direi planetario. Però controcaccia la sento come una sorta di manifesto personale del mio rapporto con la poesia, mentre hardnoressia credo sia la più spietata e pertanto onesta. Pure nota clinica, dal canto suo, mi piace moltissimo specialmente in rapporto con la musica. Sai è un po’ come la domanda “qual è il tuo colore preferito?”, più ci pensi più ti confondi.

 

planetario

forse confondo le confusioni
perché mi conto più dubbi che giorni
ma ho due pianeti al posto degli occhi
li disegno sul muro
(poi pulisco: lo giuro)

si vive in un tempo protocollato
tra le visite da calendario e l’orario
del deperimento. del farmaco effetto.
si vive di schemi e gioco di ruoli
di costanti silenzi scontati
per mostrarcisi male. malati.
ma c’è un momento in cui mi do conto
che sono contento: è quando disegno
i miei occhi più grandi del mondo
perché lo contengo nel nero del bulbo
e il bianco contorno è l’universo
in cui nuoto di notte se mi addormento
se il giorno l’ho perso a muovere scacchi
con chi fa la cronaca dei gesti più semplici:
«guarda. lei ha preso una penna.
guarda. lui sta toccando la tenda»
e silenzioso mi fissa gli spacchi
coi suoi pianeti disabitati.

forse confondo le confusioni
perché mi conto più dubbi che giorni
ma ho due pianeti al posto degli occhi
li disegno sul muro
(poi pulisco: lo giuro)

si vive di sedute e dosaggi
di diritti pestati e ora detriti
di pasti scaldati e assaggi gentili
per evitarci il più dei conati.
si vive di docce in divisa
divisi dall’altro
ché l’amore è bandito ma quando fa buio
se le luci si spengono
arrivano mani a infilarsi nel letto
e può succedere che non siano mie
ma di chi ha più voglia
e non sa cosa tocca ma sa ricucire
senza mostrare (scartare) manie.
così la mattina con le dita pastello
ritraggo lettini vibranti il cigolio
le spinte e gli strappi degli organi scelti
il suono e la voce che mai dice addio
né dice: «ciao sono io è stato stupendo»
no: qui è un rancio di sesso randagio
la regola vuole che va bene fin quando
i grembi non crescano non ci sia parto.
e tempero tempero gli occhi pianeti
coloro coloro gli umani crateri
dipingo soltanto il circo che vedo
io bestia lasciata alla sete di gioco
costretta incastrata dove non si respira
in questa camicia che non si stira.

forse confondo le confusioni
perché mi conto più dubbi che giorni
ma ho due pianeti al posto degli occhi
li disegno sul muro
(poi pulisco: lo giuro)

ma adesso che ho finito lo spazio
e il planetario è un disastro completo
prima che possa goderne lo sguardo
mi legate le mani con cinghie
a un letto disfatto da carne di scarto
(avanti uno e poi l’altro)
in attesa del turno di briglie di cuoio
(avanti uno e poi l’altro)
con l’urlo di unghie dal corridoio
(avanti uno e poi l’altro)
è attesa in reparto la morte che perde
ché non mi prende se mi attaccate
la testa a uno schermo lo sguardo all’inferno
io fermo fissato un cristo all’altare
con particole in ferro freddo sui lobi
io cimice in camice sacrificale
addento dolente un sorriso di legno
per preservare lo smalto del ghigno
dai crampi che vengono a farmi la festa
una scossa che straccia che scassa la testa
una scossa che straccia che scassa la testa
una scossa
che straccia
che scassa
la testa
per farmi confondere
le confusioni
diradare la nebbia planetaria dagli occhi
rotolati all’indietro per le convulsioni
e così eliminare ogni dubbio futuro
per cancellare i disegni sul muro.

forse ho confuso le confusioni
i dubbi si sono vestiti da assiomi
ma i due pianeti al posto degli occhi
restano in volo per cui
li disegno sul muro. in silenzio. da solo.
ché di queste follie io sono le stanze
che non accettano pareti bianche

(Nicolas Cunial)

Ci parli della videopoesia “In discotesta”? Come è stata realizzata? Parlaci anche dell’ambientazione.

Il video è stato realizzato da Racoon Studio e in particolar modo da Pietro Polentes, con il quale ho lavorato lungo tutta la realizzazione del progetto, dapprima cercando di tradurre alcuni versi in immagini nonché di strutturare le immagini già presenti nel testo affinché la traduzione in video non fosse eccessivamente didascalica. Successivamente abbiamo prodotto una sceneggiatura e di conseguenza sono state realizzate le prime immagini e le prime clip video, finché legando il tutto abbiamo ottenuto il video. L’ambientazione volevamo che riproducesse la dinamica di fondo, che non è la depressione, al pari di come in realtà non sia la salute mentale l’oggetto di Black in / Black out ma il contrasto tra chi vive un disturbo e la società. Il contrasto si è risolto così nella scelta di due pattern di colori molti accesi e una struttura del video che nonostante il peso delle parole prende una strada decisamente più lisergica.

Video poesia: qual è stata la molla?

Ho voluto lavorare sulla commistione tra vari linguaggi: non solo musica, appunto, ma anche video. Questo perché sono sufficientemente convinto che il video, e non il libro, sia il mezzo di diffusione più potente che abbiamo oggi. Tra non molto, sarà la realtà virtuale e la realtà espansa, e infatti è in quella direzione che voglio andare con i miei lavori, ma bisogna fare un passo alla volta. Sarebbe però diminutivo scorgere nel video solo le sue potenzialità di diffusione, credo sia uno dei mezzi a oggi più efficaci e diretti per sanare il vuoto tra poeti e fruitori di poesia, ma anche un linguaggio a sé che può ottimamente miscelarsi con la poesia per restituire un amalgama complesso e potente. Inoltre ho voluto dapprima confrontarmi con l’animazione perché è un linguaggio che finora in Italia non era ancora stato esplorato. Spero che questo primo piccolo frammento possa dare spinta a molti dei miei “colleghi” nell’approcciarsi a questa macro possibilità espressiva.

Quali sviluppi pensi possa avere questo progetto? 

Si è trattato dal principio di un progetto intermediale, infatti al momento Black in / Black out è uno spettacolo di poesia e musica, con effetti pirotecnici, che si sta evolvendo: manca infatti tutta la parte video che dovrebbe essere pronta da maggio, in contemporanea con l’uscita del libro, al cui interno vi saranno i testi che hanno ispirato lo spettacolo e molti altri, ma anche un qr code che rimanda all’ep pubblicato su spotify e in generale su tutte le piattaforme in streaming, tra cui youtube ovviamente, dove sono contenute le videopoesie tratte dallo spettacolo (al momento solo in discotesta, stiamo girando quello di controcaccia e sono in fase di preparazione altri due). Insomma come ogni opera d’arte che si rispetti, lo sviluppo naturale di uno spazio metafisico dove l’arte distrugga l’artista e dove l’artista sia ricomposto solo attraverso un pubblico che ha necessità di umanizzare l’arte. Ma lo sviluppo più importante è l’evoluzione di tutto ciò in quello che sarà il mio prossimo progetto. Ci metterò almeno due anni a realizzarlo, ma credo che ne varrà proprio la pena.

Tu non sei un gran frequentatore di facebook vero? Cosa pensi dei poeti che su Facebook  “creano” continuamente poesie? Furbizia promozionale o vera e propria “malattia”?

Sono su Facebook, ma da come si può facilmente notare, lo uso poco e anche male, credo. La creazione continua dipende dal grado di ripetibilità del dato, ovvero quanto si scriva e ogni quanto si pubblichi. Potrebbe succedere che ci siano persone che pubblicano una poesia al giorno, ma che non ne scrivono altrettante e che quindi, semplicemente, pubblichino un ammontare raccolto in anni e anni di scrittura. Se invece stiamo parlando di una produzione continua e in qualche modo in diretta, allora difficilmente saranno poesia valide, perché la poesia ha bisogno di molto tempo: tempo di gestazione mentale, tempo per la sua stesura, per la costruzione della struttura essenziale e la sua distruzione fino all’ottenimento del materiale vivo e necessario. Per esempio mi sento di dare un consiglio a chi si approccia a un microfono esordendo “questa poesia l’ho scritta due giorni fa”. Ecco, ottimo modo per farmi distogliere l’attenzione: una poesia non finisce di essere scritta in anni, nemmeno in una vita, forse. E presentare qualcosa di scritto appena uno sputo di tempo fa, è farsi una carezza all’ego, non un servizio all’arte. Pertanto non so se sia furbizia promozionale o malattia, semplicemente guardo ad altro, rispettando però sempre la massima confuciana che vuole che l’uomo superiore non premi in base alle parole, ma non rifiuti un argomento sulla base di chi lo proferisce.

Parlami del libro

Uscirà il due maggio per l’editore Interno Poesia. All’interno si troveranno i testi tratti dallo spettacolo e altre tre sezioni dove la metrica, il ritmo, non sarà mero strumento ma colonna vertebrale di tutto il corpo-libro, in una continua ricerca di ordine personale fino alla dissoluzione dell’io. Oltre ai testi, vi sarà un codice qr che rimanderà ai contenuti estesi del libro: l’ep pubblicato su Spotify, i video ecc. Insomma il libro non sarà il punto finale, ma solo un pezzo del complesso puzzle che ho voluto costruire dietro al titolo “Black in / Black out”.

*

Nicolas Cunial (1989) è poeta, performer e organizzatore di eventi di poesia, nonché tra i più apprezzati slammer italiani. Oltre a essere stato inserito in numerose antologie, ha pubblicato tre libri di poesia: Pillole di carne cruda (2012); Carie di città (2013); Il sosia zero (2015), tutti per Edizioni La Gru. Ha pubblicato il romanzo L’innocenza della fuga (2016) con David&Matthaus. Il suo ultimo libro è Black in / Black out (Interno Poesia, 2019) da cui è tratto l’omonimo spettacolo di poesia e musica elettronica.

È stato fondatore e vice presidente della LIPS – Lega Italiana Poetry Slam dal 2014 al 2016. Nel 2017 fonda il collettivo Fumofonico, con cui realizza eventi e spettacoli di poesia principalmente a Firenze, dove vive. Nello stesso anno, crea il collettivo Novæquipe, con cui produce spoken music e videopoesia.  Ha vinto numerosi premi e riconoscimenti. Nel 2018 è stato tra i finalisti del Premio Dubito. Tutte le sue opere sono rappresentate dall’agenzia letteraria Edelweiss. Il suo sito è: http://www.nicolascunial.it

RIPRODUZIONE RISERVATA – APRILE 2019

2 commenti su “Nicolas Cunial: pianeti al posto degli occhi

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